In - “Out” - entico • Morgan . . . Solitudine, Depressioni e Anti depressivi • Giustizia e Apparenze

Mercoledì 3 febbraio 2010 | 00:00
In - “Out” - entico • Mentre Morgan, cantante psichedelico prestatosi al grande schermo nei panni del grillo parlante, scomodo giudice del programma televisivo “X Factor”, sembra aver fatto outing confessando di fare uso di cocaina per sfuggire alla quotidiana depressione, sebbene, sottolinea lui, la verità dalle sue parole sia stata piuttosto “carpita”, pochi giorni fa è stato pubblicato un articolo sul quotidiano tedesco Die Zeit dal contenuto certamente diverso.

Nel Feuilleton del 28 Gennaio 2010, il quotidiano tedesco ha raccolto i nomi di chi, senza bisogno di ricorrere a escamotage troppo costosi e poco salutari, riesce a tenere a bada la DEPRESSIONE esprimendo in modo autentico il bisogno di fare, la necessità di essere utili al prossimo, all’intera Società.
In un Paese dove i rapporti tra mafia e politica sono oramai cosa nota e la costante interpretazione di processi e confessioni sembra avallare il legame forte che lega istituzioni e la mala, c’è chi si pone dall’altra parte, quella legale, ed è solo.

L’altra parte è costituita da persone che ogni giorno in solitudine non hanno altro istinto alla vita se non quello di privarsene per fare chiarezza nella società di tutti, quella italiana, in cui si sopravvive e si arranca tra Ddl (disegni di legge) pensati ad hoc per i politici e riflessioni costanti su come abbreviare processi per accelerare la macchina della giustizia. Ma di quale giustizia?

La giustizia di chi ? Si tratta, forse, di apparenza da salvare ?

Su quali strani e confusi sogni di gloria si sta lavorando se poi la giustizia, infondo, ognuno se la fa da sé e a suo modo, riecheggiando la legge dell’uomo da strada, perché la legge “pulita” e non violenta, quella è stata creata e amministrata, oggi più di ieri, dagli uomini dalle camicie bianchissime e i colletti inamidati.

La solitudine di chi, minacciato dalla mafia continua a scrivere per informare, la conosce bene l’autrice del libro L’Oro della Camorra (pubblicato nel 2008) e di articoli redatti per Il Mattino, Rosaria Capacchione.
Rosaria non porta camicie bianche, ha profonde occhiaie scure che solcano il viso ed è da tutti temuta per i suoi metodi risoluti e una conoscenza troppo estesa sulla Mafia, conseguenza delle minacce che la privano da anni di una vita normale.
Candidamente confessa di essere descritta come “cattiva”, ma si giustifica appellandosi al suo ruolo di autentica giornalista che deve raccontare la realtà.

E’ il contrario del vademecum del bravo politico, colui che come parlamentare appare così a modo e giusto da ammaliare anche gli elettori più critici; si affanna a presentare leggi anti-prostitute ma al ritorno verso casa, si scopre poi, fa un breve break con travestiti.
Si sa è anti-depressivo e, si chiarisca, non si vuole certo qui giudicare il costume sessuale degli individui, ma la riflessione batte sempre la dove il nervo è scoperto e duole: quale giustizia si sta difendendo in Italia, e chi la difende è autentico, vive egli in modo autentico ?

E’vita autentica l’esistenza di chi non si piega alla dittatura programmatica della media quotidianità, fatta di chi vive simile ad un automa che cerca di portare a termine ciò che la società accarezzandolo gli impone, pretendendo conformità e non autenticità, avanzando giustificazioni che tengano in piedi bugie imbellettate sottoforma di verità, e non giustizia.

Perché la società tutta oggi sembra essere più preoccupata a rispondere esaustivamente - senza che vi sia contenuto alcuno nelle affermazioni - alle accuse di chi chiede, con autentica semplicità, una spiegazione.
Ma le parole hanno un peso e chi è capace di ergersi a retore della causa persa, con bei discorsi inattaccabili dal punto di vista linguistico, vince contro i dubbi e le domande pertinenti.
Come accade quando i mafiosi e i loro difensori denunciano per danni, chiedendo fior di quattrini, chi, come la Capacchione, scrive il vero.
L’inautentico qui si fa autentico, o come scrive Die Zeit, la storia ha del kafkiano.
E’ ingiustizia che manipola e si afferma attraverso “la” giustizia.

E’ l’eterno conflitto tra forma e contenuto, la forma ci abbaglia ed è capace di esaltare un contenuto vuoto, il contenuto autentico nella scatola rovinata non regge.

Alla forma si chiede di essere “in”, di ottenere elogi e cariche di potere necessarie a suscitare l’invidia del prossimo, poi ci sono le regole-non-regole dell’“out”, tipo genialoide, anticonformista un po’- o forse completamente - artista per impulso o per natura e in questa schiera non sono annoverati i Morgan afflitti da crisi depressive da assopire col crack, politici con una mano pulita e l’altra, nascosta, a favorire interessi personali, bensì i semplici martiri della vita autentica.
Sono poco “in” questi esemplari ma il loro “out” è vita vera.
Profili del genere fanno tornare alla mente personalità dell’ “altra parte”, quella autentica; loro non sedevano in parlamento e non concorsero per il festival di Sanremo, bensì furono costretti a rinchiudersi nella foresteria del carcere dell’Asinara prima dell’avvenuta condanna a morte.
Quando l’ingiustizia opera in nome della Giustizia, inautentica.
- Debora Francione -

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